Rassegna Naturarte 2010
Arsenale di Bertonico, Lodi.
di Mario Quadraroli
Nel 2001 Anna Crescenzi, Renata Petti e Tina De Filippo danno vita al gruppo Laloba, un progetto basato sulla conoscenza e sulla comprensione dei luoghi e delle storie; sulla ricerca delle tracce che segnano inevitabilmente un sito, lasciando marchi indelebili nel tempo. Ricreano e rigenerano quel che resta della materia, scolpendone e modellandone nuove forme, restituendo la vita a quei pezzi ormai morti.
Sagome moderne si intrecciano e si fondono con resti del passato, generando una perfetta armonia.
Il gruppo lavora affinché si crei un’opera unitaria, che non mantenga su di sé singole impronte artistiche: le opere come risultato di una perfetta interazione di menti e corpi, di esperienze e saperi; l’architettura, la scultura e la fotografia, tre arti al servizio di un’unica creazione.
Studiare per conoscere, apprendere, acquisire informazioni che consentano e generino lo slancio creativo, l’idea, l’identità dell’opera. Renata, Anna e Tina progettano l’opera d’arte affinché si inserisca nell’ambiente senza disturbarlo ma anzi descrivendolo, svelandone un segreto, un aneddoto, un elemento che lo caratterizzi.
Rami fossili, realizzata nel 2005, è il risultato del lavoro di un intero gruppo didattico cui hanno partecipato giovani e adulti, inserendosi e sentendosi parte di un luogo, di un’antichità, assorbiti da un ambiente che ha conservato per milioni di anni le tracce della sua vita passata. È stata montata direttamente sul posto, nelle vicinanze di un lago artificiale nel Parco del Matese a Capriati a Volturno, riproducendo la forma di un fossile che i depositi sedimentari avevano conservato per 150 milioni di anni.
La struttura realizzata con pali di castagno consente all’opera di innalzarsi in tutta la sua imponenza, di risollevare il passato per inserirlo nel presente, per consentire alle generazioni attuali di continuare a viverlo e a sentirlo proprio.
I rami di olmo, invece, sono stati raccolti dalle zone circostanti ed accettati nella loro deperibilità, prevedendo pertanto una loro sostituzione futura.
Un enorme occhio in acciaio inox riflette realmente il luogo, generando una visione intrecciata di passato e presente, riportando le immagini di quelle tracce conservate dal tempo che troppe volte restano inosservate; la natura e le sue forme utilizzati in perfetta sintonia con i materiali industriali.
Lo studio approfondito del luogo e del suo contesto è stato effettuato anche per la realizzazione di “SEmi”, creata in occasione della Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI e della terza edizione Orto d’Artista: dalla Semina al Raccolto.
L’opera, installata temporaneamente nell’orto botanico più antico d’Europa, consiste in tre baccelli con semi dell’Acanto, della Ruta e dell’Aconito, piante studiate, coltivate ed utilizzate dalla Scuola Medica Salernitana per scopi medici e terapeutici.
Ogni baccello e relativo seme sono stati poi inseriti nel giardino sospesi tra due alberi al di sopra del terreno seminato con la stessa pianta medica. Il passato, le sue ricerche, le sue conoscenze, i suoi studi tornano a vivere nel presente, attraverso l’utilizzo di materiali naturali, rami di nocciolo e piume ma, soprattutto, attraverso la riscoperta del culto delle piante, del loro utilizzo, delle condizioni climatiche a loro più favorevoli; umidità e calore offrono ancora al sito la possibilità di essere fertile alla nascita di specie vegetali, talvolta anche spontanee.
Come Matteo Silvatico faceva ai primi del 1300, mostrando, con scopo didattico, agli allievi le piante con i loro nomi, le loro caratteristiche, ma soprattutto i principi attivi in esse contenuti, così è possibile fare ora, dopo il restauro del 2000: visitare il giardino, viverlo, capirlo, coglierne l’antichità. Questo è quello che ha fatto il gruppo Laloba, riuscendo ancora nel tentativo di riflettere il luogo.
Con la tavola di San Giuseppe rincorriamo invece l’eco di un’antica tradizione di Casacalenda (CB), l’apertura di ogni casa e l’accoglienza delle famiglie caratterizzava questo giorno di festa dedicato al santo. Ogni famiglia allestiva una lunga tavolata ricca di cibi preparati secondo antiche ricette ed ogni povero era invitato ad entrare e per buon auspicio a terminare tutte le vivande del piatto, nulla poteva essere lasciato.
Oggi solo quattro famiglie conservano quest’usanza, spalancano le proprie porte ai poveri e ai bisognosi, cucinano in abbondanza le tredici pietanze, dedicano l’intera giornata al culto di San Giuseppe.
Durante le manifestazioni di Kalenarte, il gruppo Laloba ha allestito questa tavola, in un’esperienza di arte partecipata, commemorando ancora la storia, l’origine dei luoghi.
L’arte che diventa comunicazione, esortazione alla riscoperta, alla rivalutazione di ciò che ci circonda; un’arte che invita a riflettere, ad estraniarsi dalla globalizzazione che ci induce a cancellare ogni traccia di noi, della nostra storia, delle nostre usanze, del nostro passato; un’arte che ci invita ad emozionarci ancora dinanzi alla natura, dinanzi alle sue forme più spontanee, selvatiche.
Creazioni che riflettono un luogo, come noi troppo spesso non siamo più in grado di fare; un’opera che non si vergogna di mostrarsi colorata delle tinte di quel paesaggio, di quella semplicità, di quelle memorie che la circondano.
L’archeologia e i suoi resti, la storia, i miti, le leggende, le tradizioni, le consuetudini folcloristiche che riacquistano fascino e consistenza.
I materiali come mezzo fondamentale del processo di riacquisizione di consapevolezza, di coscienza; studiati e scelti con grande attenzione, per le loro caratteristiche fisiche, estetiche ma soprattutto per la loro capacità di comunicare un messaggio, di riflettere il sito, di adeguarsi alla situazione.
Questa è la grande capacità delle tre donne del gruppo Laloba, meditare, riflettere, rappresentare un pensiero, un attimo, un periodo, ma rappresentare qualcosa che resti, che resista nel tempo, non tanto come materiale, non tanto nella sua consistenza fisica, quanto nella sua volontà di continuare ad esistere e a modificarsi istante dopo istante, insomma a vivere senza essere dimenticato.
Offrire la visione della sola natura delle cose, lasciar guardare la spontaneità dei tratti, delle forme, dell’evolversi e del trasformarsi. Come Turrell offriva alla vista nient’altro che la bellezza del cielo con il suo “skyspace”, consentendoci di guardare l’opera d’arte che ogni giorno ci sovrasta e che ogni giorno dimentichiamo di guardare, così Renata, Anna e Tina ci consentono di ammirare il frutto stesso della natura che uccidiamo, che rifiutiamo, che calpestiamo e cementiamo, che loro riescono a guardare, a cui noi non dedichiamo neanche un pensiero, uno sguardo, un attimo delle nostre interminabili giornate.