Mondo Donna 2015

Clinica Mediterranea Napoli

Arte sospesa a Napoli donna  
di Eduardo Alamaro

Renata Petti è una intrigante donna di Napoli. E’ architetto della Gravina, ma la sua finezza, sensibilità ed eleganza non erano doti molto spendibili nella durezza della professione sfusa o a pacchetti nostrana. Specie a Napoli. Così ha (quasi) sempre lavorato nella Scuola e nell’Arte, sempre silenziosamente e senza scandali e clamori. I toni bassi e la profondità sono la sua cifra esistenziale e fisica.
Molti anni fa, per un decennio e oltre, ci vedevamo molto spesso perché Renata fece suoi i temi e le domande della Terra cotta sperimentale. Parallelamente io andavo piuttosto su un versante storico-critico, talora militante e militare, d’assalto. All’armi siam architetti-ceramisti!!! (… sul punto ci fu anche una apposita mostra, nel 1989, “Incursioni”, da Ferrari-arredamenti a Napoli. Molti consensi, anche la pubblicazione su “Architetti –Società”, bimestrale dell’Ordine archidetti di Napoli e Isernia, ma zero vendite zero, nda).
Al contrario di me, dicevo, Renata era attratta dalla morbidezza e dalla malleabilità della creta. Collaborò (e si formò) così col famoso ingegnere tedesco Host Simonis di Salerno e andò sicura per le vie delle alte temperature dei gres. Per i misteri fascinosi “dell’arte cieca” (non è facile infatti prevedere la trasformazione dei colori e delle forme ceramiche nel calore del forno).
Andò Renata Petti così per non poco tempo nei segreti delle cotture, nelle finezze delle tessiture delle superfici, per le bruciature dei colori ossidati. Molti i riconoscimenti intellettuali, non moltissimi quelli di mercato. Così è la vita degli sperimentatori, a rischio! Vissi d’arte, vissi d’ammore (e murette -morì, ndt- ‘e famme!!).
Questo interesse per le Terre cotte si è andato poi via via esaurendosi in Renata che ha cercato così altre strade d’arte & di vita. La sua sensibilità per gli spazi architettonici è rimasta però sempre la base culturale profonda del suo lavoro d’artefice pensosa. Nel tempo si è arricchita anche di una particolare sensibilità ambientale, per i destini della Terra, son solo di quella cotta. Per gli intrecci, per le costruzioni primarie, per il paesaggio agricolo.
E’ stato così che ha cercato & trouvato in Anna Crescenzi di Sarno (SA) una compagna d’arte al femminile, ideale, fatta a sua misura. Ad hoc (signo vinces). Tanto che le due donne hanno formato, da non poco tempo, il collaudato duo LALOBA. Molto il lavoro fin qui svolto, molti i riconoscimenti ricevuti.

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Ultimo quello da parte di “Insideart” con un lavoro dal titolo: Seminando, perché le LALOBA pensano che “il seme dell’arte riesce sempre ad imporsi nel mondo e a fiorire”. E a far fiorire nuove nascite, nuovi innesti (oggi sono molto impegnate sul tema linguaggi volanti, sospesi nell’aria, interrogativi. Quello in atto delle migrazioni e della mixité: tu arruobbe a mme, io arrobb’‘a tte!!). Così sia.
In occasione del quarto ciclo di “Monda Donna”, mercoledì 14 scorso, nella esclusiva “Clinica Mediterranea” di via Orazio a Napoli, le sullodate LALOBA hanno animato la loro mostra-performance battezzata: “Nel profondo annegare io semino”. L’installazione metteva in scena due sedie di legno in stile impero pezzottato, dorato e vellutato, sormontate da due capigliature sospese ad arte Lalob.
Queste ultime sono state realizzate con rami di salice colorato secondo una iconografia arcaica, radicale ed essenziale delle donne napoletane, (le popolari “capere” del tuppo, per intenderci, nda), contaminata però da suggestioni africane e orientali migranti d’oggi e di domani ….
Il progetto prevedeva inoltre “la documentazione fotografica di tutte le persone che partecipavano alla performance”. Cioè che si sedevano per il clic con la scultura-capigliatura sospesa in testa. Modello cervelli in fuga con parrucche in testa.
Idea performativa non nuova, questa, collaudata sin dai tempi della polaroid usa e getta. Sicché c’è stata la fila di medici, infermieri e del “Mondo donna” tutto per l’allegra foto ricordo Laloba. (A Milano, al museo di Brera, di recente, in una situazione simile, ricevetti finanche la mia foto di scena d’arte per posta elettronica, nda).

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Come sempre avviene, la parte più interessante della mostra era invece il percorso per la performance; l’iter che aveva condotto a quella sospensione d’arte plastica qui installata. Questa fase era ben documentata in mostra: sia da montaggi fotografici & da tecniche miste inquadrate in piccolo formato che – e soprattutto – da due piccoli ed essenziali modelli plastici ellissoidali di tuppo-cupole, posti sotto plexiglas come teche.
Qui il dentro-fuori, il sopra-sotto, il contenitore e il contenuto, la struttura e la sovrastruttura, il sé e l’altro da sé …, il doppio, il triplo e il trip, ecc… cioè i temi d’architettura da sempre cari alla raffinata Petti introspettiva, si materializzavano in una sintesi invidiabile e suggestiva. Potente e sottile alla Laloba.
Dei lontani tempi della facoltà della Gravina, Renata ha però conservato un certo eccesso di parole a supporto e a spiegazione dell’opera, del progetto ….: troppi superflui bla, bla, bla d’altri tempi …. Ragion per cui l’ho fermata e le ho detto: “…lasciami qualche spazio d’immaginazione, di mia appropriazione indebita, di godimento strettamente personale, ti prego, Renata!”. Mi ha accontentato.
E ciò perché questa tematica, soprattutto le foto delle donne intente nei vicoli di Napoli a fare inciuci & a pettinar capelli; a mettere le pulci nelle orecchie & le idee plastiche in testa alle cummare e commarelle, mi ha fatto venire in mente una scena familiare, che mi appartiene oggi: quella di mia moglie che lava accuratamente i capelli di mia figlia, ormai ventitreenne economista universitaria ….

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Glieli asciuga poi col fono, quindi li pettina con lunga cura; glieli monta ad arte di parole sue molto figare…. E ciò avviene sin da quando era piccola bambina, mia figlia, con quei capelli lunghissimi che poi non fu facile decidere di tagliare. Ma l’infanzia, si sa, ad un certo punto deve pur finire. Occorre un segno, un taglio (di capelli ombelicali).
Non si taglia però l’amore per quell’atto antico. Per la cura domestica e colloquiale, così simbolico e pregante dei capelli, così come hanno ben sottolineato nel loro testo della mostra le Laloba ….; prosegue l’amore madre-figlia, di cummare e cummarelle, quello che traspare da quel gesto, da quelle movenze antiche, eterne ….
Direi da quelle architetture manufatte e ben pettinate. Che io invidio e dalle quali, come padre e inter-mittente marito, sono escluso: è territorio tutto al femminile della famiglia Alamaro. Riservatissimo e vietatissimo a me. Ammen, grazie Laloba!!
Saluti, eldorado